di Cristiano Luchetti

Compasses Magazine

Lo studio ANARCHITECT, diretto da Jonathan Ashmore, ha sede a Dubai e ha recentemente aperto un altro studio a Londra.

Grazie al successo di alcuni progetti completati recentemente, premiati e pubblicati su riviste e siti Web internazionali, il piccolo studio registrato RIBA, si è affermato sulla scena architettonica del Golfo. Può essere annoverato tra gli studi più promettenti in tutto il Medio Oriente. Lo studio sta crescendo in dimensioni e numero di progetti in un momento storico altamente competitivo per gli architetti locali. Mentre ANARCHITECT continua la sua attività di architettura e interior design per residenze private a Londra e negli Emirati Arabi Uniti, nuovi progetti sono in fase di sviluppo in Sri Lanka, Kuwait, Bahrain e Kenya.

Incontro Jonathan per parlare della sua idea progettuale e, in particolare, del ruolo del dettaglio in architettura. Un componente dell’organismo architettonico che sembra portatore di valori fondamentali nell’espressione spaziale di ANARCHITECT.

 

CL: Jonathan, parlami della tua design philosophy.

JA: Da quando mi sono trasferito in Medio Oriente 10 anni fa, ho compreso ciò che veramente mi ossessiona: il contestualismo. Lavorando in questa parte del mondo, ho capito e apprezzato la necessità di elaborare progetti che rispondano a contesti specifici. Penso che trovandomi in una città globale come Dubai, io debba percepire anche ciò che sta accadendo oltre i suoi confini. In questo senso, ho iniziato a essere ossessionato dall’approccio al contesto e dal modo in cui l’architettura si collega al luogo. Inoltre, il mio team e io prestiamo molta attenzione a un processo di progettazione che sia specifico per ogni sito. Si tratta di avere una metodologia di cui fidarsi. Avendo questa metodologia di progettazione molto strutturata, otteniamo opportunità davvero uniche per progetti inseriti in contesti “pazzi” o programmi funzionali decisamente dinamici. Un esempio potrebbe essere la villa privata che stiamo costruendo sulla cima di una duna di sabbia di 25 m o una pompa di benzina dismessa accanto a strutture alimentari e cliniche abbandonate degli anni Sessanta che abbiamo trasformato in un hotel. Alla fine, ciò che mi diverte e su cui mi concentro è definire un approccio globale e allo stesso tempo locale per il nostro design.

 

CL: Qual è la tua definizione di dettaglio architettonico? Quanto è importante nella tua espressione progettuale?

JA: Per me, il dettaglio in un progetto è la traduzione del disegno concettuale manifestato in una componente fisica e finita che fa parte di un’entità più grande. Guardiamo ai materiali e alle tecniche particolari per scoprire quali opportunità possono offrire e sottolineiamo i dettagli che vogliamo far diventare parte essenziale dell’esperienza dell’utente. Sono sempre stato meravigliato da come l’arte si traduce appassionatamente nell’architettura e nel design. Apprezzo il design dove posso vedere quella passione e mi piace quando nei dettagli si possono enfatizzare i componenti che abbiamo pensato per una particolare soluzione, mettendoli in risalto per comunicare l’idea principale del progetto. A questo proposito, credo che non ci dovrebbero essere troppi dettagli in competizione all’interno di un progetto: anche a quella scala è necessaria una chiara gerarchia.

 

CL: Nella progettazione architettonica, i dettagli si verificano quando due entità materiali si incontrano e devono essere combinate in un unicum compositivo e strutturale. Qualcuno ha affermato che il dettaglio è l’agente progettuale che facilita la coerenza del manufatto architettonico. Esiste una soluzione di dettaglio che ricorre spesso nel tuo lavoro?

JA: Sono molto interessato alle “soglie” e alla giustapposizione di diverse materialità. Inoltre, penso ai materiali come portatori di valori simbolici. Rappresentano cose diverse. La pietra rappresenta la solidità, la venatura del legno rappresenta la natura e il metallo rappresenta la precisione. A volte uso il metallo per combinare legno e pietra attraverso un giunto specifico. Guardo ai materiali anche da un punto di vista meccanico. Guardo ciò che è pesante o leggero, ciò che possiede una massa o ciò che è fragile, e anche qual è la loro finezza. Per me, l’idea di precisione, connessione e raffinatezza viene veicolata dal metallo e dal vetro. La bellezza del legno si manifesta attraverso la percezione della sua grana. La pietra è più densa e solida e mi ricorda la tradizione. È un materiale da costruzione di secoli fa. Quindi c’è questo equilibrio percepito di diverse densità che questi tre materiali combinano, ma dipende molto anche da come vengono utilizzati nei vari progetti. Ci troviamo costantemente a guardare le diverse combinazioni di questi materiali in tutti i progetti sviluppati da ANARCHITECT.

Il nostro approccio contestuale e il modo in cui l’architettura si traduce dalla scala dell’edificio, fino ai dettagli e al disegno degli arredamenti, rappresentano un flusso di idee concettuali. Si tratta di stratificarsi nell’edificio e creare connessioni con il suo quadro più ampio. È la vera forza trainante del progetto. Questo è il motivo per cui penso che sia abbastanza interessante lavorare sui dettagli tanto quanto su entrambe le scale del micro e del macro.

 

CL: Il disegno può essere inteso come portatore di due valori complementari. L’esplorazione visiva delle soluzioni di dettaglio architettonico ha una funzione maieutica, cioè quella di scoprire la verità, attraverso un dialogo con se stessi espresso con la grafica. Oppure, la ricerca può essere condotta con un approccio euristico. La continua variazione dei segni, la loro sovrapposizione, la combinazione e lo sviluppo dell’organismo grafico possono costituire un processo investigativo che porta a una soluzione inaspettata. Come usi il disegno nella tua ricerca sui dettagli?

JA: Schizzo costantemente. Posso iniziare il progetto pensando a un concetto, ma c’è qualcosa, un’idea particolare, che potrebbe iniziare con un dettaglio. Potrebbe essere il modo in cui due materiali si incontrano o come una specifica connessione viene risolta. Inizio sempre con gli schizzi. Quando ho un’idea, la testo attraverso schizzi su strati e strati di carta da lucido. In questo modo, sfido l’idea iniziale perché continuo a scoprire nuove soluzioni. Metto questi schizzi da parte e passo del tempo a osservarli sul tavolo. A volte ne scelgo uno, lo scannerizzo e lo metto sul computer, iniziando a esplorarne l’evoluzione insieme agli altri componenti del team. Questo approccio è influenzato dal lavorare con le strutture esistenti, come nel Regno Unito. Sono spesso condizioni molto difficili e cerco di risolvere questi problemi progettuali in tre dimensioni. Posso immaginarlo nella mia testa, ma quando trasferisco l’idea su carta, inizia il controllo. Da qui si procede nella modellazione 3D, la testiamo, la osserviamo, ma poi torno alla carta per sovrapporre nuovamente la stampa con lo schizzo. Questo processo è la base del dialogo di lavoro con il team, che alla fine porterà a una serie completa di disegni dettagliati pronti per la costruzione. La comunicazione che abbiamo con i nostri appaltatori è raramente verbale. In realtà avviene attraverso schizzi e disegni. Quello che trovo molto interessante è che in tutte le diverse nazionalità, discipline e vari tipi di aree geografiche, il disegno è ciò che comunica il concetto.

 

CL: C’è un architetto contemporaneo, o uno del passato, che ha influenzato il tuo approccio ai dettagli?

JA: Sarai abbastanza contento perché è Carlo Scarpa. Ciò che mi interessa del suo lavoro è la sua abilità e la sua comprensione dei materiali, ma anche come inserire, collegare e riposizionare gli elementi. Ricordo il bellissimo ponte di Venezia all’ingresso della Querini Stampalia o come incornicia gli oggetti a Castelvecchio. In un certo senso è, in certi momenti, de-costruttivista e anche brutalista, ma sempre così ben fatto! Tutto si collega, il nuovo e il manufatto antico. Mi sono reso conto che anche quando ero all’università, anche prima del mio master, ne ero già ossessionato. Ho guardato i suoi schizzi e disegni, ho potuto vedere il suo processo di pensiero, e ne sono stato affascinato.

 

CL: Le tue parole su Scarpa mi aiutano a passare al rapporto tra dettaglio e scala. Scarpa non ha mai progettato edifici di grandi dimensioni. Forse, è riuscito a mantenere quel controllo ossessivo sulla qualità dei dettagli a causa di una determinata scala d’intervento. Durante la mia carriera, in alcune occasioni ho incontrato designer o accademici che hanno affermato che un intero progetto poteva essere concepito partendo da un dettaglio specifico. Cosa ne pensi?

JA: Penso che sia possibile e posso citare un esempio. Abbiamo progettato una villa in Sri Lanka, sulla costa meridionale. Abbiamo appena iniziato a fare i primi esercizi volumetrici e ad ampliare le opzioni con l’input del cliente. Volevamo proporre una soluzione modernista, ma al cliente non piaceva e desiderava una soluzione più tradizionale e vernacolare, in qualche modo legata al lavoro di Geoffrey Bawa. Il sito godeva di una vista fenomenale su tre lati e volevamo enfatizzarla evitando troppe interruzioni visive causate dagli elementi strutturali. Il dettaglio che ha dato il via all’intero progetto riguardava la creazione di una colonna gemella, in modo che le si potesse vedere attraverso. Questo componente ha articolato l’intero organismo strutturale, disegnato attraverso la sua modularizzazione. Da quel dettaglio, l’idea di accoppiamento è proseguita e ha iniziato a manifestarsi in diverse altre parti del progetto. Anche prima di disegnare la pianta, questo approccio è stato positivo perché ha contribuito a razionalizzare il progetto. Invece di essere decorativo, quel dettaglio aveva una funzione non solo strutturale ma anche compositiva.

 

CL: La tua architettura sembra fortemente influenzata da una visione razionale degli spazi. Essi si esprimono attraverso caratteristiche geometriche semplici, ma non banali. La tendenza architettonica contemporanea invece sembra manifestarsi nella ricerca di una crescente complessità spaziale. L’introduzione di forme curvilinee di solito corrisponde all’aumento della complessità costruttiva e dei suoi dettagli. Questa specifica elaborazione spaziale può essere controllata prevalentemente mediante l’uso dei nuovi dispositivi digitali. Qual è il tuo punto di vista su questi strumenti parametrici?

JA: Ancora una volta, penso che la questione riguardi l’approccio e non tanto gli strumenti che utilizziamo. Io prendo in considerazione i componenti fondamentali dell’architettura, come l’orientamento, la luce naturale o, per progetti specifici, il vento per utilizzare la ventilazione naturale. Tutti questi parametri vengono esplorati e, attraverso la tecnologia, sviluppati per informare la soluzione finale. Siamo in grado di analizzare attraverso l’uso di strumenti parametrici il modo particolare in cui un raggio di luce entra nello spazio. Se si deve creare una forma architettonica che risponde a quel particolare punto di luce nello spazio, questo non credo possa essere concepito e controllato attraverso planimetrie o sezioni bidimensionali. Alla luce di ciò, il supporto di un design parametrico è eccellente perché fornisce anche una soluzione fattiva. La tecnologia è uno strumento che facilita senza dubbio il morphing dell’architettura, ma i suoi principi rimangono gli stessi, e penso che per il nostro studio l’attenzione ai materiali, il modello di lavoro artigianale e la cura dei dettagli siano caratteristiche fondanti di tutto il lavoro di ANARCHITECT.

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